LA MOSTRA

TRA LE MURA DI HARAR

Circa 500 km a est di Addis Abeba si trova Harar, una delle più antiche città musulmane dell’Africa orientale. La città, occupata probabilmente a partire dal IX secolo d.Cr., è stata la capitale di un emirato situato all’incrocio di importanti rotte commerciali. Durante l’occupazione egiziana, avvenuta negli anni Settanta del XIX secolo, la città intensificò notevolmente le sue attività commerciali e la circolazione annuale di carovane tra Harar e la costa aumentò da 70 a 400. Nel 1887 l’esercito di Menelik II incorporò definitivamente Harar all’impero etiopico.
A partire dai primi anni del Novecento, in seguito alla costruzione della linea ferroviaria Addis Ababa-Djibouti, la città di Harar ha perso progressivamente il suo ruolo commerciale a scapito della vicina e più facilmente accessibile Dire Dawa. Resta però un centro culturale molto importante, considerato il principale centro di insegnamento dell’Islam di tutto il Corno d’Africa.
La bellissima città vecchia si estende per 1,6 kmq. È circondata da una lunga cinta muraria alta 4,5 m (gugal) realizzata nel XVI secolo ed è accessibile da cinque porte (bari). La città è divisa in cinque distretti, adiacenti alle porte e designati con i nomi delle porte stesse. Ogni distretto è a sua volta suddiviso in quartieri, e ciascun quartiere è composto da un insieme di abitazioni. Esiste, inoltre, un’ulteriore suddivisione della città in “sette cerchi di santità”; il cerchio più interno attorno alla piazza principale detta Faraz Magala, “Il mercato dei cavalli”, è quello più sacro. Un secondo mercato, chiamato anche Gidir Magala (”Il mercato grande“) si trova nel centro della città dove si incontrano quattro dei cinque distretti.
La città vanta un centinaio di moschee. Un censimento effettuato negli anni Novanta del secolo scorso, ha registrato oltre 200 santuari e luoghi sacri, che variano da alberi, rocce e piccole nicchie nei muri delle case alle grandi moschee.
Gli Harari costituiscono la popolazione urbana della città di Harar. Si tratta di un gruppo molto omogeneo, prevalentemente endogamico, che aderisce alla corrente sunnita dell’Islam. Proprietari terrieri da generazioni, basano la loro ricchezza sulle redditizie colture del caffè e del chat, una pianta leggermente allucinogena il cui utilizzo è in forte espansione in Etiopia e all’estero, e sul traffico di merci locali e importate. Le fonti storiche suggeriscono che gli Harari siano in realtà di origine multietnica, molto probabilmente il risultato di matrimoni misti tra gli Arabi, giunti tra il IX e il XII secolo, e la popolazione locale. Le stesse pratiche religiose locali sono molto sincretiche e includono la venerazione di santi, i cui santuari si trovano all’interno e all’esterno delle mura della città. Un buon numero di questi santi sono donne; questo supporta l’idea che i culti più antichi pre-islamici non siano stati spazzati via dall’arrivo dell’Islam, ma piuttosto inseriti in qualche modo nella nuova cornice musulmana.
Gli Harari hanno prodotto nel tempo un vasto corpus letterario, a tema religioso e non, in Arabo e in Harari. La tradizione orale, inoltre, parla dell’esistenza di manoscritti in una lingua segreta chiamata dai locali Suriyani (“Siriano”) o “Alfabeto di Ibrahim”. Purtroppo, pochissimi di questi testi si sono conservati. Secondo la tradizione questa lingua era probabilmente usata come sistema di comunicazione segreto tra maestri e studenti.
Camminare oggi lungo le stradine strette e lastricate della vecchia Harar è come muoversi in un colorato mosaico di volti e suoni. Qui, persone di etnia Amhara, Oromo, Harari, Gurage e Somala, di cultura, credo e tradizioni differenti convivono con un alto grado di tolleranza e rispetto reciproco tanto che nel 2003 Harar ha ricevuto dall’UNESCO il premio “Città per la Pace” per l’armonia urbana.


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